“Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.”
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari
Ogni tanto scopro l’acqua calda. Di Buzzati non ho letto tutto, il romanzo “Un amore”, la raccolta di racconti “La boutique del mistero” e altri racconti sparsi e poi “Poema a fumetti”. “Il deserto dei Tartari” stazionava da anni nella mia libreria, mi scrutava silenzioso, da tempo sapeva che prima o poi mi avrebbe fatto suo.
Se non ricordo male devo averlo preso e sfogliato parecchi anni fa, ma forse non ero ancora pronto. Ora più che mai sono convinto che non sia sufficiente avere tra le mani un buon libro e la voglia di leggerlo, serve anche l’occasione, il tempo giusto, il mood appropriato. Il romanzo più noto di Buzzati è molto di più di un buon libro, è un racconto allegorico su una vita spesa nell’attesa di qualcosa che potrebbe non arrivare mai, e si attesta come uno dei romanzi più emblematici di tutto il Novecento, non solo italiano.
Questo dunque era il mio tempo, anche, ma non solo, per la situazione di quarantena spinta che stavamo vivendo quando l’ho letto, il tempo giusto per entrarci meglio dentro, per apprezzarlo parola per parola. Sono diventato Giovanni Drogo, ho vissuto le sue esperienze, ho sofferto con lui.
Erano anni che non mi capitava una simbiosi simile con un romanzo. Ho cercato di farlo durare il più possibile, ma inevitabilmente l’ho sbranato in pochi giorni.

Buzzati è un grande. Alcuni dei suoi racconti sono così spiazzanti da togliere il fiato.
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