Gli Esordi di Antonio Moresco

Quando ho finito di leggere “Gli Esordi” di Antonio Moresco ne sono rimasto molto colpito. Mi sono trovato di fronte a un’immensa opera artistica, sopraffatto come da qualcosa di simile alla sindrome di Stendahl, annichilito, perso, stregato, vagante in un fiume in piena, in un mare profondissimo in cui è dolce naufragare. Citazione troppo alta? Non credo. Leggere è bello, importante e utile. Ognuno sceglie quello che più gli piace o lo diverte, ciò che per argomento gli è più congeniale, ma è innegabile che non tutti i libri siano uguali e che non tutti facciano lo stesso mestiere. C’è il puro intrattenimento, c’è lo studio, etc. e poi c’è qualcosa di altro (superiore?) che è difficile da definire, ma in sé è perfetto, è quello che deve essere e rappresenta uno sfondamento, un passaggio ulteriore, uno scalino in salita rispetto alla disciplina artistica nella quale si opera. Perché un bellissimo ritratto manierista e realistico risulta solo un “quadro fatto bene” di fronte, per esempio, all’opera di Van Gogh o all’Urlo di Munch che invece sono universalmente riconosciuti come capolavori? Il romanzo di Moresco è letteratura nella sua più alta accezione: è evocativo, simbolico, innovativo, imponente, inattaccabile.

Non serve raccontarne la trama, divisa in tre grandi scene (Silenzio, Storia e Festa), non serve dire che i personaggi sono strani e assurdi, lo stesso protagonista, senza nome, sembra vivere tre vite diverse, al centro delle tre scene, come spettatore privilegiato e narratore che filtra tutto quello che accade, quasi senza mai commentarlo, come se agisse sempre d’istinto o non si fidasse a farci sapere quello che sta pensando. Ma non è la psicologia dei suoi personaggi che interessa all’autore, contano le azioni, le parole, quello che sta attorno. L’allegoria di un Paese, che è mille paesi dai nomi dimenticati, che cambia, si evolve (e la visione è tutt’altro che utopistica): il microcosmo del convento e del casale, le strade vorticose e arrotolate sulle quali si guida ammassati in una piccola autovettura alle volte dormendo fino ad arrivare alla Milano (presumibilmente degli anni 80, unico luogo “vero” nominato) tutta luci, modelle, palazzoni e alienazione, dove la vicenda ha una fine, che non sembra una fine e lascia tutto in sospeso. Ci ho messo un po’ a leggerlo, sia perché ultimamente ho la tendenza a iniziare due o tre libri per volta e poi magari mi faccio un po’ prendere la mano da qualcosa di più veloce e leggero e lascio indietro il resto, sia perché me lo volevo gustare, sguazzarci dentro fino alla fine, che inevitabilmente è arrivata prima del previsto, lasciandomi anche un po’ basito. Mi sono già procurato i due libri successivi di questa trilogia dell’Increato (“Canti del Caos” e “Gli increati”) e, appena mi sentirò pronto, riprenderò il cammino. Ma il 2022 mi sembra un momento propizio per affrontare queste letture.

Moresco è uno scrittore immenso, la cui prosa avvolgente, fluida e tenace, tratteggia immagini lievi ma indelebili; uno scrittore che non segue le mode e i facili mezzucci per piacere alla massa, tanto è vero che questo romanzo, molto apprezzato dalla critica e con un seguito di lettori devoti, non è mai entrato nelle classifiche che contano e non ha mai vinto un premio blasonato (in Italia no, ma in Germania un premio importante l’ha ricevuto, il premio Lipsia nel 2006, come miglior libro tradotto in lingua tedesca in quell’anno). La storia di questo testo, anche prima della sua avventura editoriale, è lunga e travagliata, Moresco ci ha lavorato fino allo sfinimento, perché per lui, per quella che è la sua idea di letteratura, non esistono libri “normali”, o non dovrebbero esistere: normale è qualcosa che non ti tocca, non ti colpisce ed è a un passo dall’essere qualcosa di inutile. “Gli Esordi” non è sicuramente un libro per tutti, non è semplice, anche se la sua lettura in sé non è affatto complicata (non ci sono paroloni altisonanti o periodi intrecciati in modo incomprensibile), è scritto in modo piano e lineare, ma le parole sono centellinate, ci vuole pazienza, ci vuole tempo, può non piacere, ci mancherebbe, mai discutere sui gusti altrui, ma è innegabile che si tratti di un romanzo originalissimo, soprattutto per il panorama italiano, che rischia di restare ingiustamente misconosciuto. Io, che non sono un critico letterario, lo considero uno dei romanzi più significativi della letteratura contemporanea, non solo italiana. Chiudo questa recensione con le parole di un altro autore italiano contemporaneo, che considero tra i più bravi, il quale in un articolo su “la Repubblica” del 2005, riguardo a Moresco si esprimeva così:”…In Moresco batte un cuore mistico, s’apre l’occhio che piange la Salvezza impossibile, trema un’anima che cerca di congiungersi al senso ultimo delle cose, al bene e al giusto, e trova la strada sbarrata dall’arroganza degli uomini, dall’opacità della materia. Un autore da seguire.” Marco Lodoli. Inutile dire che ne consiglio spassionatamente la lettura.