Antesignano di 1984 di Orwell e del Mondo nuovo di Huxley, Noi racconta di un’umanità ipermeccanizzata e socialmente ipercontrollata.
Un romanzo dalla storia travagliata, come quella del suo autore, il russo Evgenij Zamjatin, costretto a espatriare per stabilirsi in Francia. Concepito nei primi anni 20 del secolo scorso, il romanzo venne subito censurato, uscì in inglese nel 1924 e in russo solo nel 1952, ma a New York e si dovette attendere il 1988, perché potesse essere edito anche in URSS. Noi è ambientato nel terzo millennio e narra di una società i cui abitanti vivono controllati da un regime totalitario che regolamenta ogni parte della loro vita. Tutto è predefinito e automatizzato, nulla può venire nascosto, persino i palazzi sono fatti completamente di vetro (soltanto durante i rapporti sessuali è possibile abbassare le tende).
La storia si dipana attraverso le pagine di un diario, gli Appunti del protagonista, D-503 (ogni persona conserva un’identità alfanumerica, i nomi sono sparirti), un ingegnere che sta lavorando all’ambizioso progetto di costruzione di una nave spaziale, il famigerato Integrale.
A capo di questo Stato Unico abbiamo un autocrate che si fa chiamare “Benefattore” (a cui il Grande Fratello orwelliano deve più di un tratto caratteristico) aiutato nel costante lavoro di controllo dai “Custodi”, veri e propri tutori dell’ordine. Il razionalissimo D-503, che intrattiene una relazione “regolare” con la tranquilla O-90, si innamora di un’altra donna dal fascino enigmatico, I-330. Lei riuscirà a turbarlo e soggiogarlo fino al punto non solo di fargli provare gelosia e possessività, sentimenti “anticollettivi” e quindi del tutto fuori legge, ma addirittura lo convincerà a unirsi a un movimento rivoluzionario finalizzato a ribaltare il regime.
Al di fuori dello Stato Unico, descritto come un’immensa metropoli, oltre la Muraglia Verde, vivono persone molto diverse dai cittadini regolari, i cosiddetti “Mefi”. I-330 condurrà D-503 tra di loro con lo scopo di impossessarsi dell’Integrale per usarlo contro lo Stato Unico. Il piano viene scoperto, ma la rivolta è ormai partita. Non svelo il finale.

Mentre Noi stenta a raggiungere un dignitoso sbocco editoriale, nonostante la critica ne parli bene, ma ben altre paure ne impediscano la diffusione, almeno in patria, Aldous Huxley da alle stampe nel 1932 Il mondo nuovo e George Orwell nel 1949 pubblica il celeberrimo 1984. Sono romanzi dalle tematiche molto accostabili a Noi, entrambi gli scrittori conoscono Zamjatin, ma se Huxley dice di non aver mai letto Noi (nonostante appunto similarità dei temi affrontati), Orwell ammette di averlo recuperato nella versione francese del 1929, ne auspica una ripubblicazione in lingua inglese (non mancando di citarlo riguardo alla composizione del suo romanzo più noto), ma lo bolla ingenerosamente come “non un romanzo di prim’ordine”. L’impietoso giudizio poteva anche dipendere dal fatto che la traduzione che girava in quegli anni non fosse accuratissima, ma, al di là di questo, leggendo Noi non si possono non ravvisare consonanze con 1984, anzi sarebbe meglio dire il contrario, dato Zamjatin scrisse la sua opera trent’anni prima di Orwell.
Descrivendo un ordinamento sociale che intende sopprimere ogni forma di individualità a vantaggio di una massa uniformemente plasmata ed eterodiretta e raccontando, anticipando i tempi, il destino niente affatto roseo di una tale visione, il romanzo venne interpretato come un palese manifesto anticomunista. Dopo il 1952, con l’edizione russa edita a New York, le cose cambiarono poco, Noi raggiunse un pubblico abbastanza ristretto, anche se quell’edizione diede il via a una serie di nuove traduzioni (la prima italiana è del 1955).
In realtà il respiro di questo romanzo, nato sì in un contesto sociale e politico preciso, era ben più ampio. Non si tratta di un semplice pamphlet politico, come ebbe a spiegare in più riprese l’autore stesso, Noi rappresentava (e rappresenta) una “protesta contro il vicolo cieco in cui si sta andando a cacciare la civiltà europeo-americana, che livella, meccanicizza, macchinifica l’uomo.” Alcuni critici americani hanno tratto dalla lettura del romanzo un duro attacco al fordismo.
Oggi viviamo in un’epoca in cui ci si sente del tutto liberi, ma mentre nel mondo esistono luoghi dove dittature e guerre sono tutt’altro che brutti ricordi (ho detto Russia? L’ho fortemente pensato, sarò telepatico?), Noi torna di forte attualità se lo si legge in un’ottica in cui le convenzioni, le distanze, il bisogno di apparire in un certo modo sui social e tutto quanto, in modo nascosto e strisciante, lede la nostra libertà di agire e pensare fuori dagli schemi (e fuori dagli schermi), sono i nostri nuovi tiranni, che spesso e volentieri siamo noi stessi a imporre sulle nostre vite.
Nel 1932 Zamjatin pensò a una trasposizione cinematografica di Noi, ne scrisse la sinossi di sceneggiatura, ma il progetto non vide mai la luce. Anche in questo l’opera di Orwell ha avuto maggior fortuna, almeno fino ad ora. Il regista Hamlet Dulyan sta realizzando un lungometraggio tratto dal romanzo. L’uscita era prevista per il 2021, ora si parla di fine 2022, ma la situazione internazionale potrebbe far slittare l’uscita ulteriormente.
Qui sotto il trailer:
Una nota di colore pop per concludere. Il brano del 2006 Integral dei Pet Shop Boys, che, non a caso, rappresenta una forma di protesta alla proposta di adottare, nel Regno Unito, le “ID card” (un documento in cui vengono riportati tutti i dati di un soggetto), è un evidente omaggio al romanzo di Zamjatin.