036 – “Brava ragazza, cattiva ragazza” di Michael Robotham, un romanzo avvincente, efficace e curativo.

Un romanzo che travalica la categorizzazione di semplice thriller di genere per regalarci una vicenda densa, profonda e coinvolgente, con personaggi credibili in cui è bello perdersi e immedesimarsi.

Quando leggo recensioni quasi esclusivamente positive di un libro, quando ogni giornale o rivista del settore o anche collega scrittore non ha che parole di esaltazione per uno scritto, tendenzialmente sono molto scettico. Se non conosco l’autore e mi ci accosto per la prima volta, può capitare che lo faccia cautamente e in modo abbastanza prevenuto, aspettando di trovarmi di fronte a un lavoro, non dico dozzinale o di facile presa, ma magari furbetto, capace di non scontentare nessuno.

Purtroppo il mio senso critico mi lancia un allarme quando qualcosa piace a tutti, temo sempre che sotto ci sia un trucco o qualcosa di peggio. Sono molto felice, però, quando i miei timori vengono smentiti, ma non capita spesso. Ecco un caso in cui la presentazione di un libro ha più che mantenuto, a mio parere, le promesse: il romanzo è “Brava ragazza, cattiva ragazza” e l’autore è Michael Robotham.

Originario di Casino (Australia), Robotham è uno scrittore affermato dal 2004, quando ha dato alle stampe il suo primo romanzo, “L’indiziato”, un thriller psicologico che ha riscosso subito un grande successo internazionale. Precedentemente è stato giornalista e ghostwriter. Con questo suo lavoro del 2019 ha vinto il Gold Dagger Award della Crime Writers’ Association ed è stato finalista all’Edgar Award. “Brava ragazza, cattiva ragazza” è il primo capitolo di una serie, anche se lo si può a pieno titolo considerare un’opera autoconclusiva, non ci sono strani ganci alla fine del romanzo, la storia inizia e finisce pienamente e anche se alcuni aspetti della vicenda, che non svelo, possono considerarsi aperti, il finale è un finale nel senso ampio del termine.

A fine 2022 è uscito in Italia il seguito, sempre per la collana Darkside di Fazi, intitolato “La ragazza che viene dal buio” e l’ho già ordinato in libreria 😉

Cyrus Haven è uno psicologo forense che collabora con la polizia, come profiler e assistente negli interrogatori. Gli viene chiesto da un conoscente di esprimersi riguardo allo stato di salute mentale di Evie Cormac, che vive in un orfanatrofio da sei anni, dopo essere stata trovata nascosta in una casa abbandonata, dove è stato commesso un terribile delitto, a cui lei ha assistito. Ora, con l’approssimarsi della maggiore età, il tribunale deve decidere se lei sia in grado di vivere da sola e in modo indipendente. La ragazza, di cui non sa con certezza l’identità, non è affatto un caso semplice, è sveglissima, non si lascia abbindolare da provocazioni e giochi mentali e sembra essere in grado di capire con uno sguardo se qualcuno mente.

Nel frattempo Cyrus viene chiamato a occuparsi di un caso di omicidio che ha scosso la comunità: è stata uccisa Jodie Sheehan, una giovane campionessa quindicenne di pattinaggio sul ghiaccio, che sembrava destinata a un grande futuro sportivo. Considerata come la classica ragazza della porta accanto, Jodie appariva bella, popolare e invidiata, ma durante le indagini emergeranno verità sconvolgenti e inaspettate. Cyrus si trova a gestire queste due situazioni, tormentato nell’intimo, anche se non lo lascia trasparire, da oscuri fantasmi del suo passato. Infatti anche lui ha avuto una grande tragedia nella sua vita. Da una parte Evie deve essere salvata e con lei non ci sono scappatoie, bisogna sempre dire la verità e dall’altra l’anima di Jodie esige una giustizia, che vada oltre un semplice capro espiatorio a cui affibbiare il delitto.

Riguardo alla trama non svelerei molto altro. Sembrerà banale dire che il romanzo è scritto benissimo, ma lo dico, anche perché è assolutamente vero. Capita a volte di voler solo arrivare in fondo a una storia per sciogliere il mistero o scoprire il colpevole, magari turandosi il naso e ingoiando certe “criticità” (incongruenze, buchi narrativi, scrittura tutt’altro che fluida, etc.), solo per la curiosità e per l’esigenza di scoprire come va a finire.

Robotham invece riesce a imbastire una vicenda coerente e fluida scrivendo con uno stile a tratti cinematografico, ma in parte anche parecchio introspettivo. Una scrittura molto immersiva, la chiamerebbero alcuni formatori. Il punto di vista principale è quello di Cyrus, ma in alcune scene entriamo pure nella mente di Evie e vediamo il mondo con i suoi occhi e questo passaggio non risulta per nulla forzato, anzi è naturale e quasi necessario.

In attesa di poter leggere il seguito non posso che consigliare questa lettura agli amanti del genere, ma non solo. Ne resterete piacevolmente stupefatti.

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